ROMA -"Il fenomeno dei telefonini in carcere in Italia sta prendendo una piega davvero molto allarmante.Scovare in carcere un smartphone è un'operazione già di per sé complicata e che spesso porta con sé risultati non sempre soddisfacenti.Riuscire a identificarne uno di appena 7 centimetri come quello scoperto a Firenze diventa davvero un oggetto da mera "caccia al tesoro".- Esordisce così il Vice Segretario Generale SPP Mauro Nardella sul triste fenomeno- Ogni giorno migliaia di poliziotti vengono distolti dai restanti compiti istituzionali per andare alla ricerca dei dispositivi tecnologici incriminati e i risultati ottenuti con il rinvenimento di più di 3800 telefonini dall'inizio dell'anno non deve essere visto come una vittoria bensì come una fattore estremamente preoccupante.
-sottolinea Nardella-
Per arginare il problema non si può ricorrere a uno strumento non sempre efficace come lo può essere una perquisizione sia essa sulla persona che sulle cose.
Per cercare di lenire gli effetti di questa devastante piaga si deve ricorrere a qualcosa di enormemente più efficace.
Da anni il Sindacato di Polizia Penitenziaria SPP invitia a investire su mezzi quali potrebbero essere ad esempio i disturbatori di frequenze (e/o jammer) che agiscano sul funzionamento degli stessi annullando il segnale sia dei telefonini che dei droni oramai divenuti l'arma più potente al servizio dei detenuti per fare entrare non solo telefonini ma anche droga e altri oggetti non consentiti.
Schermare la possibilità di azione e ricezione del segnale è l'unico modo che si ha, al momento, per proteggere il sistema carcerario dalla sempre più crescente fenomenologia legata alla fraudolenta telefonia.
- Continua il segretario nazionale-
Lo Stato se ne deve quindi fare una ragione e ancor di più l'Amministrazione Penitenziaria.
Servono politiche e investimenti capaci di ergere un muro tra la criminalità intramuraria e quella extramoenia.
Con 18.000 poliziotti in meno e istituti fatiscenti non credo si possa fare altro almeno da questo punto di vista.
Pensare all'implementazione di tecnologia militare in luogo di quella in uso a tutti potrebbe essere presa a modello anche perché il carcere non è un luogo qualunque e credo che tutti lo sappiano.
Insomma ci si adoperi bene e subito se non vogliamo che anche dal punto di vista comunicativo ci si ritrovi di fronte a una condizione colabrodo".
-Conclude il n.2 del Sindacato di Polizia Penitenziaria-
Nessun commento:
Posta un commento