
entra prepotentemente nel dibattito cittadino, sino a causare le (prime) dimissioni dell’intero consiglio comunale. Nasce, in tal frangente, il «Comitato di difesa cittadina», che troviamo affannato, per i due anni successivi, a tentare di scongiurare, presso tutte le autorità competenti, la paventata misura.La situazione precipita quando, tra il 27 ed il 28 gennaio 1957, con una repentina operazione protetta dalle tenebre, i militari prelevano le pratiche dagli uffici di Sulmona per trasportarle a L’Aquila. Immaginarsi la
mortificazione di quel gruppo di notabili, con alla testa il sindaco, che si trova, il giorno successivo, su appuntamento fissato la settimana precedente, al cospetto del ministro Taviani, a patrocinare non più la difesa di un ufficio ma a dolersi, vanamente, di una irrimediabile spoliazione. La questione si sarebbe forse chiusa lì, con le ennesime sdegnate dimissioni dell’intero consiglio comunale, se non si fosse verificato un fatto che venne interpretato, a torto o a ragione, come un’autentica provocazione: la visita del dottor Ugo Morosi, prefetto della provincia, alla città di Sulmona.Il 2 febbraio 1957, quando il prefetto si avvia, da L’Aquila, «per la consueta visita mensile, per il ricevimento dei sindaci del circondario peligno e per far visita al Vescovo della Città», non mancano le persone avvedute che intravedono, in quell’accorrere in una Sulmona appena scottata dalla beffa notturna, un potenziale pericolo. I primi a preoccuparsene sono proprio i responsabili dell’ordine pubblico della città ovidiana, che si provano a dissuadere l’incauto viaggiatore dal mettere piede nel centro, intercettandolo per la via. Senza fortuna.
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Foto M.Massaro |
Manovra, questa, tanto improvvida quanto palese, alla quale la popolazione reagisce attuando un vero e proprio blocco, da via Mazara e tutto intorno palazzo San Francesco. Solo in tarda serata la forza pubblica (primi fra tutti i soldati di stanza a Sulmona) riesce a sottrarre il prefetto all’ira di migliaia di persone, istradandolo, su un autoblindo, per dove era venuto. In città è ormai scoppiata una battaglia che si consuma vicolo per vicolo, con mattoni, sassi, panche ed ogni oggetto utile alla bisogna, contro gli artifici lacrimogeni dei quali fanno uso le guardie e i carabinieri, accorsi dai più vicini presìdi della regione. Si erigono vere e proprie barricate in centro, mentre ponte San Panfilo è interessato da un enorme incendio che impedisce ai rinforzi romani e marchigiani della Celere di entrare in città.
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Foto M.Massaro |
La rivolta sulmonese del 1957 fornì lo spunto, all’epoca, per richiamare l’attenzione sulla Valle Peligna e per avviare quel dibattito che di lì a poco condurrà all’adozione di molteplici provvedimenti governativi in campo economico. Episodio che gli stessi protagonisti ritengono puramente accidentale nel suo scoppio, la rivolta non lo è, forse, nelle origini e nelle cause.
A questo proposito si segnala, in particolare, l’analisi della lotta intestina tra i locali esponenti dell’allora partito egemone in Sulmona, la Democrazia Cristiana (e di questi, uniti, contro i loro sodali aquilani), sceverata dal compianto Maurizio Padula, che un quarto di secolo fa ha dedicato un libro ai fatti del distretto. (Fonte Site.it)
Cronistoria
Si può far iniziare la cronistoria degli eventi che portarono ai moti di Jamm' mò con l'agosto del 1954, quando il Ministro della Difesa Taviani decise, in ottemperanza a direttive NATO, la soppressione di ben 54 Distretti Militari, tra cui il Distretto Militare di Sulmona.
A seguito di questa decisione a Sulmona il Sindaco convocò il 19 agosto 1954 un Consiglio Comunale straordinario che si concluse con le dimissioni all'unanimità del Consiglio stesso. Nacque un Comitato di Agitazione che proclamò uno sciopero di 24 ore per il giorno successivo.
Il distretto militare era importante per tutto il centro Abruzzo per svariati motivi, tra questi vale la pena annoverare quello patriottico: infatti il distretto era stato un luogo di mobilitazione durante il II Conflitto Mondiale.
L'Amministrazione Comunale di Sulmona ricevette immediatamente dichiarazioni di piena solidarietà da parte degli altri sindaci. Sempre il 19 agosto 1954 una delegazione di sindaci ed amministratori locali si recò dal Prefetto per scongiurare la soppressione del distretto. La risposta, che si rivelò non vera, fu che la decisione di soppressione era sospesa.
Ironia della sorte, la sera stessa giunse un telegramma da parte del Ministero della Difesa al Sindaco di Sulmona, informandolo del declassamento del distretto. Le reazioni da parte della città furono notevoli; lo sciopero fu prorogato di altre 24 ore, mentre al posto del Comitato di Agitazione si costituì un Comitato di Difesa Cittadina.
Il 24 agosto 1954 una delegazione di sulmonesi si recò dal Ministro Taviani per perorare la non soppressione del distretto. Il Ministro rassicurò i sulmonesi, assicurando che il distretto non sarebbe stato soppresso. Si sarebbe rivelata successivamente una mossa per temporeggiare.
Difatti fino al maggio 1955 non avvenne nulla di rilevante per il distretto che continuò la sua attività. I toni si riaccesero a metà maggio, quando il Comandante del distretto fu trasferito e il nuovo Comandante tardava ad arrivare, nonostante i tempi burocratici fossero passati da tempo.
Il clima a Sulmona ricominciò ad essere pesante. Una spiegazione del ritardo fu data nell'agosto dello stesso anno quando buona parte delle leve furono mandate a L'Aquila anziché a Sulmona, come negli anni passati, segno che qualcosa stava cambiando.
A seguito di una ennesima mancata risposta del Ministro della Difesa ad una lettera del Sindaco si ricostituì nuovamente il Comitato di Difesa Cittadina.Nel gennaio 1957 si diffuse nella città di Sulmona la voce di una imminente soppressione del distretto, ancora senza Comandante, voce che non si rivelò infondata: infatti il 15 di quel mese fu firmato da parte del Ministro il decreto di soppressione del Distretto Militare di Sulmona.
Il 18 gennaio ci fu una manifestazione di protesta. Si dichiararono solidali al sindaco tutti i sindaci dei comuni abruzzesi ricadenti all'interno del distretto; anzi solidarietà fu espressa anche da molti comuni abruzzesi non ricadenti all'interno del distretto.