La crisi dello stabilimento di Sulmona è la crisi della Marelli a livello nazionale. E la crisi della Marelli è la crisi dell’ automotive italiano. Il peccato d’ origine risale a più di dieci anni fa ed è dovuto alla mancanza di visione industriale da parte di chi allora guidava il settore. Non dimentichiamo ciò che dichiarò Marchionne a Washington nel 2014: “Spero che non compriate la 500 elettrica, perché ogni volta che ne vendo una perdo 14.000 dollari”. E’ questa posizione di retroguardia che ha portato alla incapacità di cogliere le opportunità del cambiamento e che ha provocato conseguenze pesantissime non solo per il gruppo Fiat ma anche per i ritardi dell’Europa.
Che la mobilità elettrica rappresenti il futuro lo sanno molto bene gli stessi costruttori di auto con motore endotermico. Le proiezioni tecnologiche al 2035 ci dicono che a quella data i consumatori potranno acquistare auto a zero emissioni a prezzi anche più vantaggiosi rispetto ai veicoli tradizionali. La richiesta di allentare i vincoli europei è dovuta ad una visione miope e a precisi interessi dei grandi produttori: sfruttare al massimo gli impianti esistenti, che consentono margini di profitto più elevati, ed evitare nuovi costosi investimenti in tecnologie più avanzate. A ciò si aggiunge l’interesse delle multinazionali dell’Oil & Gas (in Italia Eni e Snam) che non intendono rinunciare alle loro quote di mercato e di profitto. Lo stesso Draghi, nel suo rapporto di un anno fa sulla competitività europea, metteva in evidenza che il ritardo non è dovuto alle regole ma al deficit di investimenti rispetto alla forte concorrenza asiatica, e in particolare cinese, che è più avanti di noi di almeno dieci anni. Ma il governo continua ad andare avanti senza una strategia e si riduce ad essere il braccio operativo delle lobby impegnate a “raschiare il fondo del barile”. A pagarne le conseguenze è il sistema industriale del Paese e i lavoratori, considerati solo numeri allo sbando.
Marelli è il primo produttore di componenti auto italiano. L’azienda è nata nell’ottobre 2018 con la vendita di Magneti Marelli da parte di FCA al gruppo di investimento statunitense KKR che poi ha fuso l’azienda italiana con la giapponese Calsonic Kansel. Ma KKR ha fatto questa operazione utilizzando molto denaro preso in prestito e usando come garanzia le attività della società acquisita. In questo modo KKR ha scaricato su Marelli i debiti miliardari contratti per acquistarla. Per questa ragione ha limitato fortemente gli investimenti che, invece, sarebbero vitali per rilanciare l’azienda, e cioè proprio quelli da destinare alla transizione verso la mobilità elettrica.
L’assemblea comunale, come da rito, si è chiusa con un ordine del giorno che impegna Regione e Governo a fare tutto il possibile per salvare lo stabilimento di Sulmona e con esso l’occupazione. Ma, come spesso accade, si arriva quando i buoi sono ormai fuggiti dalla stalla. E’ ancora possibile dare un futuro alla Marelli? In teoria sì, ma con questa governance aziendale e con questa classe politica di governo è come scalare il Gran Sasso con le ciabatte".
Mario Pizzola
(Coordinamento Per il clima Fuori dal fossile)
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