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mercoledì 30 aprile 2025

"LAVORO, UGUAGLIANZA, GIUSTIZIA SOCIALE, SOLIDARIETÀ E LIBERTÀ SONO I VALORI FONDATIVI DELLA NOSTRA COSTITUZIONE"

 L'AQUILA - "Lavoro, Uguaglianza, Giustizia Sociale, Solidarietà e Libertà sono i valori fondativi della nostra Costituzione, che dettano l’orientamento che politica e istituzioni dovrebbero seguire nel loro operato, con rispetto, rigore e dedizione.Tuttavia, come scrisse Lelio Basso a dieci anni dall’entrata in vigore della nostra Carta Costituzionale “poiché le forze politiche dominanti non hanno creduto di dare attuazione al contenuto sociale della costituzione, poiché si sono sottratte al compito di rimuovere gli ostacoli economici e sociali alla libertà e all’uguaglianza, poiché non hanno realizzato l’imperativo di favorire la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori alla vita pubblica, l’entrata delle masse nello stato, esse sono rimaste necessariamente legate all’altra faccia di questa politica, che è la progressiva involuzione antidemocratica in corso…”. Questo assunto, ancora attuale, ci deve portare a riflettere su ciò che rappresenta il lavoro e su quali azioni intentare per invertire una rotta di declino sociale e democratico. La Festa del Primo Maggio deve essere l’occasione non solo per onorare il contributo delle lavoratrici e dei lavoratori al progresso della società attraverso le lotte, ma anche per sollevare importanti questioni riguardanti le condizioni in cui si svolge il lavoro e le future sfide ancora aperte. Occorrono determinazione e impegno per garantire ad ogni individuo condizioni lavorative dignitose, sicure e con il giusto salario, senza discriminazioni o disuguaglianze di alcun genere. La paura di perdere il lavoro, la percezione della fragilità della propria condizione, la precarietà di vita, i bisogni insoddisfatti e l’insufficienza del salario, tutti questi elementi, legati all’indisponibilità all’ascolto della voce dei lavoratori e delle lavoratrici, determinano la disgregazione dei legami sociali, lasciando le persone ciascuna nella propria solitudine.

La crisi democratica e gli arretramenti nella cultura politica e nei diritti del lavoro sono strettamente connessi, così come è correlato il rapporto tra salario e profitto: “Poiché il capitalista e l’operaio hanno da suddividersi solo questo valore limitato, cioè il valore misurato dal lavoro totale dell’operaio, quanto più riceve l’uno, tanto meno riceverà l’altro, e viceversa. Siccome non esiste che una quantità, una parte aumenterà nella stessa proporzione in cui l’altra diminuisce.” (K. Marx, “Salario, prezzo e profitto”). Da questa verità partiamo per provare a comprendere cosa è accaduto in questo ultimo trentennio inglorioso, in cui si è misurato, anno dopo anno, un arretramento dei diritti sociali e civili, ove l’ideologia dominante ha assecondato la reazione del capitale per una rinnovata accumulazione capitalistica che ne aumentasse il valore a discapito del salario.

Dalla ricerca sulla “questione salariale” condotta dalla Fondazione Di Vittorio, emerge come negli anni sia avvenuto un continuo trasferimento di valore dal salario al profitto. Infatti, è ormai noto come in Italia, rispetto ad altri Paesi Europei, il salario reale sia diminuito a partire dagli anni 90 del “secolo breve” sino ad oggi. Più specificamente, il salario, dal 1990 al 2020, ha perso il 2,9% del suo potere di acquisto, mentre nei Paesi dell’Eurozona è aumentato del 22,6%, e nella media dei Paesi OCSE del 18,4%. L’importo di 1.089,00 euro è la perdita salariale media in Italia dal 1991 al 2023, contro un aumento di 10.500,00 euro per la Germania, 9.600,00 euro per la Francia e 2.700,00 euro per la Spagna. Solo nel periodo che va dal 2021 al 2024 la perdita netta su un montante salariale di 110.000,00 euro è di 5.322,9 euro. E, se volessimo proiettare al futuro l’andamento salariale, si arriverebbe ad una perdita di 15.500,00 euro dal 2021 al 2029, su un montante salariale di 260.000,00 euro. Sempre secondo la Fondazione Di Vittorio, dal 2019 al 2023, la prova schiacciante della sottrazione di risorse al lavoro, tutta a vantaggio del profitto, la si trova nel fatto che tra il 2020 e il 2023 la percentuale del costo del lavoro sul valore aggiunto è diminuita del 12%, mentre quella dell’utile netto è aumentata del 14%. Le maggiori duecento società di capitali, nel biennio 2022-2023, hanno ottenuto utili per oltre 132 miliardi di euro; millenovecento società industriali e terziarie di grande e media dimensione, per gli stessi anni, hanno assegnato ai soci quasi 52 miliardi di euro di dividendi.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) con la pubblicazione “Il Rapporto mondiale sui salari 2024-2025: le tendenze dei salari e delle disuguaglianze salariali in Italia e nel mondo” fa emergere altresì un modello di disuguaglianza salariale in Italia che colpisce prevalentemente donne e migranti. La prima evidente questione è che l’Italia è il Paese che ha subito il maggiore impoverimento dei salari: dal 2008 ad oggi abbiamo perso l’8,7% del potere di acquisto. Rivolgendo, poi, lo sguardo alle dinamiche salariali, si osserva che il 52% dei lavoratori a basso reddito sono donne, con un divario retributivo mensile, secondo il calcolo dell’ISTAT, pari al 16,7%, mentre quello calcolato dall’INPS per il 2024, su dati amministrativi, si attesta al 20%, valore, questo, influenzato dal maggior ricorso al lavoro a tempo parziale (in molti casi, involontario) tra le lavoratrici.

Secondo i dati Istat del 2023, in Italia, gli occupati con contratti part-time complessivamente sono più di quattro milioni, a cui si aggiungono duecentododicimila persone impiegate con lavoro domestico o di assistenti familiari, che lavorano comunque con contratti a tempo parziale. La retribuzione media annuale è di circa 11.451,00 euro. Se a tale condizione si aggiunge una discontinuità del rapporto di lavoro, il salario annuale medio può abbassarsi a 6.267,00 euro.

L’Italia, inoltre, si distingue ancora per i bassi salari per il lavoro dei migranti. Infatti, questi ultimi percepiscono un salario orario medio inferiore del 26,3% rispetto a quello di lavoratori italiani. Per le lavoratrici migranti il divario è ancora più ampio, perché si cumula con quello di genere: con riferimento al salario mensile, le lavoratrici migranti percepiscono il 22% in meno rispetto ai lavoratori migranti. Per dirla con le parole di Pino Ferraris “che anche tra eguali esistono disuguaglianze, che come all’interno di una comune condizione di ingiustizia e di sofferenza si presentino gradi intollerabili di iniquità e di sventura, che mettono in gioco diritti umani fondamentali e invocano doveri di solidarietà”.

Il quadro descritto dall’analisi della Fondazione Di Vittorio e dal rapporto OIL conferma, quindi, ciò che lavoratrici e lavoratori scontano sulla loro pelle, e cioè l’impoverimento dei salari, l’aumento delle disuguaglianze, l’aumento del divario tra ricchezza e povertà e la diminuzione dei servizi dedicati alle persone. Da tali elementi consegue in via diretta la crisi della democrazia. Per questa ragione, contrastare la svalorizzazione del lavoro è fondamentale per ridurre le disuguaglianze e per concretizzare la giustizia sociale. I bassi salari rendono, infatti, le persone vulnerabili, aumentando il rischio, sempre più concreto, di una sempre maggiore diffusione della povertà tra le lavoratrici ed i lavoratori. Per invertire la rotta, bisogna, quindi, essere capaci di connettere le diverse generazioni e le lotte di ciascuna di esse ai bisogni comuni, con un’azione collettiva che prenda le mosse dalla partecipazione, riconsegnando diritti e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori e al lavoro stesso. Attraverso la partecipazione democratica, dentro e fuori i luoghi di lavoro, si genera, infatti, la piena cittadinanza politica. Invero, come enunciato dall’art. 1 della Carta Costituzionale “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ebbene, è necessario ricordare, a questo proposito, che tale assunto non ha una connotazione solo storica e politica, ma anche e soprattutto giuridica. E il diritto non prescinde dal contesto sociale, ma accompagna e regola in concreto la vita e l’evoluzione della società, sia nei periodi di stabilità sociale, sia con le stagioni delle emergenze e dei cambiamenti. Quindi, anche la Costituzione, nella sua dimensione effettiva e vivente, deve continuare ad essere concretamente applicata. Pertanto, se l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e la sovranità appartiene al popolo come parte fondamentale e attiva dello Stato, qualsiasi disposizione normativa in contrasto con il dettato costituzionale dovrebbe essere ritenuta incostituzionale e comunque ingiusta e, perciò, oggetto di abrogazione, anche attraverso la partecipazione al voto dei lavoratori e delle lavoratrici. Ebbene, in occasione del referendum fissato nelle giornate dell’8 e del 9 giugno prossimi, abbiamo l’opportunità di dare concreta attuazione al dettato costituzionale, con l’avvio di un processo di cambiamento e, per l’effetto, di abrogazione di disposizioni normative in contrasto con l’art. 1 della Costituzione e con i principi di uguaglianza e di giustizia sociale. Abbiamo, infatti, la possibilità di concretizzare una maggiore stabilità e più garanzie dei diritti del lavoro per tutti i lavoratori e per tutte le lavoratrici, italiani e migranti, appianando le disuguaglianze sociali e riaffermando, per l’effetto, il valore della solidarietà sociale. Possiamo manifestare, in via diretta, la nostra volontà di cambiare le circostanze attuali per dire basta ad un lavoro povero, precario e insicuro che ci rende vulnerabili e soli, facendo un passo per riconsegnare al lavoro il valore di strumento di sostentamento della persona, di emancipazione e riscatto e di irrinunciabile affermazione dell’identità personale e di classe, per un’attuazione piena e concreta dei principi costituzionali.

Quindi, è evidente come l’importanza del Primo Maggio nella storia costituisca l’imperdibile occasione e il mezzo per un attento esame della situazione attuale. Perciò è necessario ripercorrerne il significato, individuare le tappe del lungo cammino percorso dal movimento delle lavoratrici e dei lavoratori per ottenere un reale miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita e per porre finalmente un freno all’inaccettabile sfruttamento capitalistico che affligge il mondo del lavoro. E l’occasione che abbiamo oggi non è scontata. Basti, infatti, ricordare il divieto di celebrare questa Festa che vigeva nel periodo storico in cui le classi lavoratrici, private delle loro organizzazioni sindacali e politiche, cadevano sotto il giogo della dittatura fascista. L’importanza del Primo Maggio, quindi, è legata indissolubilmente al suo carattere militante che costituisce un elemento vitale della coscienza di classe, tanto volgendo lo sguardo al passato, quanto scrutando il futuro.

Oggi, Primo Maggio, giornata di festa, di lotta e di partecipazione, è necessario tornare, tutti e tutte, ad innalzare le bandiere della pace, della giustizia sociale, della libertà, dell’uguaglianza, e a dare voce a quel motto che dall’ottocento sino ad oggi recita, in segno di solidarietà internazionale, “Lavoratori di tutto il mondo unitevi”.

Viva le lavoratrici e i lavoratori!

Viva il 1° maggio!

Viva la CGIL!"

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