Con questo libro Remo Rapino compone un album di figurine di quelli delle ultime file: piccole biografie di calciatori non illustri, brutti, storti, anonimi. Vecchi mobili tarlati dall’età e dai ricordi. Giocatori tristi che non hanno mai vinto.
Una squadra di esclusi, che non si trovano in campionato: eppure ad ascoltarne le voci si ascolta tutto il canto di nostalgia per i debutti, le promesse mancate, gli infortuni e le altre imboscate della sorte, i rari colpi andati a segno, insomma per quel tempo in cui tra gli uomini c’era un rispetto, un trattarsi da pari a pari, qualunque fosse il loro stato: "..e proverete la speranza che questo tempo, dove si poteva giocarsela finché si aveva fiato, possa ancora tornare".
Per l'occasione, il riferimento a "Valdès" (Tetra) sempre dello stesso Rapino, è quasi scontato. Cile, fine anni Cinquanta, Garcilaso Boscán ha perso molti treni nella vita, ma di una cosa è certo: il ragazzo con le gambe da grillo e il muso di lepre diventerà un calciatore.
Francisco Valdés, quattordici anni da compiere, porta sulle spalle magre il peso della miseria di suo nonno e degli abitanti delle 'poblaciones', eppure sembra danzare in campo.
Quando nel 1973 il Cile vivrà i suoi giorni feroci, Francisco, ormai entrato nelle fila della squadra del Colo-Colo, capirà quanto è complesso essere eroi se il ferro si fa tutt’uno con la carne.
In Valdés Remo Rapino sembra dire che la poesia, come il calcio, è soprattutto gioco: lo fa con una lingua affabulatoria ed elegante come un sombrero. Tramite lo sport racconta la dittatura, le illusioni e gli orizzonti perduti di una generazione di niños cileni".
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