Putin ha dichiarato guerra all'Ucraina perché non tollera che la nazione entri a far parte della Nato. Con l'allargamento della potenza occidentale fino al Paese confinante il dittatore teme i missili puntati contro la Russia . L'Ucraina è la terra attraverso la quale , strategicamente, la nazione russa subiva le invasioni dell'Europa napoleonica e degli eserciti della Seconda Guerra Mondiale. L'intento principale di Putin è quello di riconquistare alla Russia l'adesione delle nazioni della vecchia Unione passate sotto la Nato ma, più di tutto, teme che la Russia faccia propri i valori dell'Occidente, il disegno che stava a cuore a Gorbacev. Nel tentativo assurdo di normalizzare la sua guerra attraverso una legittimazione giuridica il dittatore invocava l'articolo 51 della Carta dell'ONU sulla legittima difesa preventiva. Richiamandosi pretestuosamente a quell'articolo e adducendo le false motivazioni delle armi chimiche in possesso di Saddam Hussein, George W. Bush, nel 2003, giustificava la guerra in Iraq, scavalcando il Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Il dittatore russo non è il primo ad allarmarsi e non sopportare la vicinanza di presenze estranee ritenute sospette, anche gli Stati Uniti reagirono quando nel 1962 Cuba stava per armarsi di missili sovietici. Di fronte alla tragedia provocata dal dittatore sovietico, una confortante novità costituisce il fatto che la brutale aggressione all'Ucraina ha fatto crescere la consapevolezza che ogni guerra riguarda l'intera comunità umana. Una rassicurante conquista è la condanna unanime di ogni azione armata. Contro le guerre esportate in diversi Paesi mancava in passato una riprovazione altrettanto unanime che invece risultava colpevolmente assente. Il bombardamento della Serbia e della Siria, l'attacco alla Libia di Gheddafi, la guerra all' Iraq contro Saddam Hussein, quella in Afghanistan, sono eventi bellici vicini a noi che non vedevano una tale solidarietà con la nazione aggredita, né unanimità nella condanna dell'aggressore. Nel totale isolamento, facevano sentire la loro voce le Associazioni pacifiste ritenute vittime di illusoria utopia, se non accusate di interessi di parte.
Voltando qualche pagina a ritroso il "Nine eleven", l'undici settembre del 2001, che viene ricordato per il feroce attentato alle torri gemelle, ha oscurato un "once de septiembre" , ugualmente tragico, ma che nessuno più ricorda. E' rimossa la memoria che nello stesso giorno nel 1973 in Cile avveniva il colpo di Stato ad opera del generale sanguinario Pinochet, apertamente appoggiato dall'Amministrazione statunitense. Il governo di Salvador Allende, liberamente eletto dal popolo, veniva abbattuto con la violenza e nel sangue di migliaia di oppositori torturati e uccisi. Nel commentare gli avvenimenti l'allora Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, dichiarò ufficialmente che gli Stati Uniti non potevano tollerare una tale vicinanza... Le parole del politico furono: "Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista (!) a causa della irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli". Salvador Allende era socialista ma per Henry Kissinger qualsiasi idea progressista suonava come stalinismo. Perdurava l'onda lunga del maccartismo quando furono "diffidati" molti intellettuali statunitensi sospettati di "comunismo", per le loro idee progressiste. Charlie Chaplin fu costretto per questo a trasferirsi in Europa. La comunità internazionale non definì criminale Augusto Pinochet né il suo sostenitore Henry Kissinger. Il Segretario di Stato formalizzava lo strano concetto di democrazia di una nazione che si fa garante delle libertà democratiche ma che, nel secolo scorso e all'inizio del presente, esportava la guerra in molte parti del mondo. I media non trasmettevano allora le immagini di popolazioni martoriate sotto le bombe o in fuga, in cerca di riparo o di accoglienza. In Europa si magnificavano invece le esplosioni di bombe su Baghdad che squarciavano il buio nel cielo della città delle Mille e una notte. Davanti al mondo intero appariva l' esaltazione della potenza bellica di una nazione che operava la sua vendetta. Le granate che cadevano su Belgrado assalita dalla Nato procuravano altrettante vittime con donne e bambini coi peluche, gente ugualmente abbandonata sulla strada o rintanata nelle cantine. Le vedevano solo coloro che erano sul posto con la bandiera della pace e offrivano ospitalità a quelle famiglie. La volontà di potenza che gli Stati Uniti intendono esercitare, nella indifferenza del mondo, è sotto gli occhi di tutti, innegabile come la luce del sole. Da sempre una parte del mondo occidentale ritiene di dover conquistare e assimilare gli altri popoli al proprio sistema di vita, ai propri costumi, alla propria religione. Per esportare un sistema ideale di convivenza pacifica, quale è la democrazia, l'Occidente, ricorre alla violenza, il cui uso smentisce i valori stessi che si vogliono proporre. L'esperienza dell'Afghanistan ne rappresenta la chiara conferma.
Nel richiamare tutto questo si sarà tacciati di filoputinismo da coloro che ritengono che ci sono guerre legittime se fatte da una parte del nostro pianeta e illegittime se dichiarate dalla parte avversa. Non si strumentalizzano le storiche responsabilità dell' Occidente per giustificare o sminuire la barbarie della guerra di Putin. Per amore della pace si vuole affermare solo il principio che tutte le guerre sono da condannare. Non ci sono guerre sopportabili anche quando a morire fosse una sola persona. Nell'aggredire l'Ucraina Vladimir Putin, non ha ascoltato i cinquemila scienziati russi che lo distoglievano dal compiere il brutale atto fratricida di invadere la nazione sorella. Anche lui era guidato dalla logica antidemocratica di Henry Kissinger per riconfermare lo scontro tra gli storici "blocchi" dell'Ovest e dell'Est in competizione per l'egemonia sul pianeta. La volontà di ricostruire una nuova Unione Sovietica con gli Stati del Patto di Varsavia intorno alla Russia governata da lui o il sogno neo-zarista che il guerrafondaio ha in mente non vedranno la luce perché il popolo russo non si schiera compatto dalla sua parte. Inoltre l' "incursione bellica" , che nei piani doveva durare qualche giorno, si protraeva per settimane , con una inaspettata sorpresa per l'esercito di Putin. L'attacco alla popolazione ucraina non ha provocato solo la tenace resistenza della nazione aggredita, ma causava una netta divisione dell'opinione pubblica nello stesso Paese del Presidente. Parte rilevante della popolazione mostrava la sua contrarietà alla guerra nel timore della grave crisi incombente. Memore dei 20 milioni di morti causati dalla Seconda Guerra Mondiale, la popolazione vicina allo spirito di pacificazione si dissociava dal disegno insensato del presidente. Inoltre nella grossa pancia della nazione riaffiora tuttora il sentimento nazionalista, fortemente avvertito, per lo scacco subito da una Superpotenza declassata. La sconfitta della Unione Sovietica trascinava con sé pesanti conseguenze geopolitiche e militari. Nel disfacimento dell'URSS l'Occidente vedeva, erroneamente, una definitiva condanna anche della Grande Russia , considerata ormai una potenza di secondo rango, oscurata, come affermano gli esperti . E' proprio la Storia ad insegnare che una guerra vinta non si vince mai del tutto. La nazione (o la Federazione) vittoriosa che voglia garantirsi una pace vera e duratura avvertirà il dovere di reintegrare i rapporti con chi è stato sconfitto. Fu l' errore fu commesso con la Germania , dopo la Prima Guerra Mondiale, che pose le premesse per la Seconda. A causa dell'enorme vuoto creato dall'assenza di una comunicazione pacifica tra l' Est e l'Ovest la guerra fredda, ritenuta ufficialmente esaurita, continuava invece in una permanente ostilità. Ferita nell'orgoglio e nella dignità la nazione russa continuava a sentirsi umiliata anche dopo la cessazione delle armi e la fine della guerra fredda. Per giunta negli ultimi decenni vedeva disattese le promesse avanzate negli incontri tra le parti e sancite coi Trattati. Nel marzo 1991, c'era stato l'impegno che , dopo il ritiro delle truppe sovietiche dall'Europa dell'Est, la Nato non si sarebbe estesa oltre l'Elba. Al contrario in un decennio i Paesi del Patto di Varsavia e i Paesi baltici entravano a far parte di essa. L'ulteriore progetto (vero o adombrato) di inserimento dell'Ucraina nella Nato smentiva il Protocollo di Minsk (2014) firmato sotto l'egida dell'OCSE. Tutto questo doveva essere nell'animo del dittatore russo che meditava una rivalsa insensata e barbarica dello spirito nazionale per restituire a Mosca il ruolo di opposizione all' Occidente guidato dagli Stati Uniti . Il presidente autocrate calpestava ogni valore di quella "democrazia" che sembrava riconquistata dopo lo scioglimento dell'URSS. Sparando sui civili ucraini per arrestare il processo democratico Vladimir Putin incarnava nella sua persona il peggio del nazismo e dello stalinismo, ponendo la sua Russia fuori dall' Europa.
Con l'inizio della guerra, con i sanguinosi fatti e la tragedia di un popolo costretto ad abbandonare le proprie case, i propri cari, si faceva animata la discussione se fosse doveroso da parte dell'Europa prestare aiuto alla nazione aggredita. Per interrompere la sanguinosa escalation di vittime civili, l'intervento della Nato, invocato da alcuni, avrebbe provocato una nuova guerra mondiale che nessuno potrebbe mai solo immaginare. Anche inviare armi sul teatro di guerra poneva un problema imbarazzante. La legge nazionale sull'esportazione del materiale armamentario (185), in conformità con l'art 11 della Costituzione repubblicana, proibisce ogni azione armata che non sia di difesa del suolo nazionale. Tuttavia le deroghe praticabili connesse alla legge, che permettono l'esportazione delle armi col consenso del parlamento, costituiscono la scappatoia che ha permesso alla nostra nazione di inviare armi in Ucraina. Mentre nelle dichiarazioni ufficiali si continua a dichiarare che l'Italia, per principio, ama la pace ed è contraria alla guerra. Per molti l' 'invio di armi in zona di guerra non significherebbe aiutare quella nazione, ma espandere e prolungare lo scontro con le sue terribili conseguenze. Innanzitutto esclude categoricamente il nostro Paese dal far parte dei negoziatori di pace.
Se la guerra ha rianimato la discussione nell'ambiente della politica e nella società civile, ancor più agitava il mondo del pacifismo dentro il quale , da sempre, ci si interroga animatamente se sia ammissibile l'esportazione di armi di difesa a Paesi che non hanno forze sufficienti per far fronte all'aggressione. Come avveniva durante la Seconda Guerra Mondiale quando l'Europa non era in grado, con le proprie forze, di scongiurare il disegno criminale del nazifascismo e si rivelò indispensabile l'intervento armato di altre nazioni. Di fronte al genocidio degli ebrei, delle minoranze etniche e di quelle religiose anche l' apostolo Pietro forse avrebbe estratto la spada... Si può offrire la propria guancia all'aggressore, ma non quella degli altri. Pur consapevoli che tutte le guerre sono condannabili e la violenza è la stessa, molti ritengono legittima la difesa armata come un diritto universalmente riconosciuto, è il tema maggiormente dibattuto tra coloro che sono impegnati per difendere la pace. La pace ad oltranza è una conquista a cui ogni cristiano (e persona civile) deve aspirare, ma a volte , a giudizio di altri, bisogna sacrificare la fedeltà assoluta ai propri principi, per un valore superiore quale la salvezza delle persone. Il dilemma creava un forte imbarazzo anche al giovane Gandhi quando, in Sudafrica, partecipava alla seconda guerra anglo-boera, meritandosi la definizione di "avvocato sedizioso" dal giovane Winston Churchill di parte avversa. Tornato in patria nel 1915 il Mahatma iniziava la sua lotta per ottenere l'indipendenza dell'India con metodi esclusivamente pacifici. La diversità delle scelte che si riscontra nella vita del Mahatma Gandhi sembra rappresentare l'alternativa di fronte alla quale si ritrova chiunque abbia a cuore gli stessi valori della pace.
La richiesta a papa Francesco di recarsi a Kiev da parte del presidente Zelensky difficilmente sarà soddisfatta. Durante la guerra di Bosnia dei religiosi uniti ai pacifisti rivolgevano la stessa richiesta a Giovanni Paolo Secondo. Nel contempo un gruppo di attivisti americani, esprimendo un pacifismo bizzarro e contraddittorio, si tingevano il volto secondo l'usanza degli antichi nativi, per affrontare la morte attraversando il fronte di Gornji Vakuf. Il loro sacrificio, affermavano, avrebbe indotto gli Stati Uniti ad intervenire dando fine al conflitto. Furono le parole persuasive di mons. Luigi Bettazzi e di altri preti a trattenerli dall'insano gesto che avrebbe aggiunto violenza a violenza. Da parte loro i religiosi che scrissero a Karol Wojtyla, appresero dai giornali che il papa si era recato a celebrare messa a Sarajevo a guerra finita. Non si sa se, col proseguire del conflitto , papa Francesco si farà terzo nella Storia della Chiesa a compiere un'impresa tanto coraggiosa e audace come Leone Magno che fermò Attila e san Francesco che affrontava con coraggio il sultano al-Malik al-Kamil.
Nella discussione piuttosto accesa e divisiva i commentatori politici convengono che dall'inizio è mancato il tentativo di intraprendere per tempo le vie diplomatiche basate sul confronto e sul dialogo. Soprattutto è stata assente la voce unanime della Unione Europea che rivelava tutta la sua debolezza, incapace di esercitare un ruolo politico di mediatore dialogando direttamente con l'aggressore. Un negoziato sarebbe stata l'unica strada per raggiungere la pace risparmiando vittime, pesanti distruzioni, scongiurando il pericolo di "una guerra, molto più ampia", come ha affermato Biden. Ingenti sono state le vittime soprattutto tra i civili . Chissà se il popolo ucraino , fratello di quello russo, avrebbe potuto percorrere altre vie di resistenza, si chiede chiunque ami la pace. Il Mahatma liberò il suo Paese dal dominio inglese con la resistenza passiva, senza esplodere un solo colpo. Gli eventi storici non viaggiano nel tempo per trapiantarsi in situazioni mutate. E' confortante che perfino il vecchio Segretario di Stato americano abbia maturato la convinzione che le guerre vanno evitate a tutti i costi. Quasi centenario, Henry Kissinger ora dichiara che le controversie si risolvono attraverso il dialogo e la mediazione (il compito proprio della politica). Un consiglio tardivo che andrebbe raccolto dai capi che governano le nazioni del pianeta, primo fra tutti l'attuale carnefice Vladimir Putin. Per evitare le scene strazianti di una tragedia costata gravi perdite umane, della popolazione costretta ad abbandonare le proprie case e cercare rifugio in altre nazioni, di tanti bambini separati dai genitori, a giudizio di tanti la soluzione più opportuna per la nazione ucraina sarebbe stata che fin dall'inizio il presidente Zelensky avesse scelto, per primo, la strada della trattativa. Lo scontro era decisamente impari ed era prevedibile che la resistenza, quanto più protratta, avrebbe procurato solo ulteriori vittime e danni irreparabili. La costante presenza mediatica e l' ostinata determinazione del presidente a resistere ad un aggressore chiaramente più forte, protraevano nel tempo l'immane disastro con l'aumento delle vittime in entrambe le parti. Se il presidente è stato il punto di forza della resistenza di un popolo disposto a rischiare la vita per la propria libertà, il duro prezzo di tutto ciò veniva pagato dalla popolazione. Oggi le guerre non le combattono più uomini armati entro il circoscritto "campo di Marte" , lo scontro avviene nelle città tra le gente. Gino Strada, che aveva scelto le zone di guerra come posto di lavoro, ammoniva che "in guerra su dieci vittime nove sono civili". Zelensky è stato paragonato a Davide che affronta Golia, non più con al fionda né col favore divino ma con i missili e col sostegno degli Stati Uniti. Biden stesso ha dichiarato di aver armato l'Ucraina un anno prima, il che attribuisce alla tragedia anche un'ombra di equivocità.
Quanti hanno vissuto con entusiasmo gli eventi della caduta del muro di Berlino, erano fiduciosi che il cemento sbriciolato del muro della vergogna avrebbe segnato definitivamente la fine dell'antagonismo Est-Ovest . Non avrebbero immaginato che barricate, muri e filo spinato sarebbero risorti nel 2000, per vecchie guerre di conquista e per delle nuove, ancora più assurde, che mirano ad arginare l' "assalto" disperato dei "dannati della terra" . Dell'Ovest e dell'Est. Dopo settimane di tardive trattative attorno ad un tavolo, per evitare la strage non si giungeva ancora ad un accordo. Per questo da molti viene evocata la necessità di una nuova Jalta che garantisca il rispetto delle regole, bandendo l'uso della forza . Le guerre si fanno per difendere i propri confini o per estenderli . I bambini si chiederanno perché gli adulti si dividono in nazioni , costruiscono identità esclusive, prive di valori condivisibili, a causa del colore della pelle, della lingua, di una propria storia.... Abolendo i confini e le bandiere nazionali, finiranno anche le guerre, penseranno gli "immaturi". Per gli adulti invece è impossibile abbattere le frontiere mentali che impediscono di riconoscersi gli uni simili agli altri. Con la universale condanna del nuovo conflitto in territorio europeo è maggiormente avvertita la mancanza di una Istituzione Sovranazionale allargata ed efficiente che, con un Patto di Convivenza Planetario, assicuri ad ogni Paese la libertà di scelta del proprio destino, fuori dalla logica perversa delle sfere di influenza. Si scoraggerà ogni tentativo di violare i confini di un altro Paese, saranno esautorate nazioni o realtà politiche che ambiscano ad esercitare il dominio sulle altre, ostacolando così le mire di vecchi e nuovi "conquistadores".
Raffaele Garofalo , prete per la pace, Pacentro (Aq)
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