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lunedì 23 novembre 2015

LA MOSTRA "SULMONA KAPUTT" E GIORGIO MAINARDI, UN EROE CHE APPARTIENE A SULMONA

SULMONA - La mostra "Sulmona kaputt. La città occupata" organizzata dall'Archivio di Stato ha fatto tornare alla luce alcune storie di personaggi ormai dimenticati. Per quello che hanno dato, per il loro sacrificio meriterebbero di essere degnamente ricordati.Uno di questi è Giorgio Mainardi ucciso dai tedeschi a vent'anni proprio il 23 novembre del 1943. Oggi ne ricorre l'anniversario.
Giorgio Mainardi. Un eroe italiano che appartiene anche a Sulmona.Sono tante le storie emerse dall’oscurità e dalla polvere delle carte in occasione della mostra documentaria “Sulmona kaputt. La città occupata”, realizzata dall’Archivio di Stato di Sulmona per celebrare il 70° anniversario della Liberazione e prorogata fino a febbraio 2016.
Storie di dolore e sofferenze indicibili che oggi pensiamo appartengano a tempi lontani e che non torneranno mai più. La realtà sta lì a dimostrare che ci sbagliamo, e di grosso. Ognuna di esse meriterebbe di essere raccontata e rammentata alle nuove generazioni.
La vicenda di Giorgio Mainardi, oltre al rimpianto per una giovane vita stroncata, ci dona nello stesso tempo sentimenti di consolazione e di speranza che, in un contesto tragico come la guerra, emergono alla vita come fiori colorati e bellissimi in mezzo al deserto.  “Ma non è morto senza lasciar detto nulla di sé, poiché, al pari di tutte le persone che vivono come missione la vita, il suo ultimo atto fu espressione del significato e del valore più profondo e vero della sua personalità”. Soprattutto per questo, la sua figura merita di essere rievocata e onorata proprio in questi giorni che ricorre l’anniversario della morte.
Tutto è nato da un articolo di giornale del 22 novembre 1951 che recava il titolo “Ricordo di un patriota Sulmonese. In memoria di Giorgio Mainardi”. L’anonimo cronista rendeva noto che, dopo otto anni di ricerche, erano state miracolosamente ritrovate sui monti di Castel di Sangro le spoglie di Giorgio Mainardi, ucciso dai tedeschi il 23 novembre 1943 nel tentativo di attraversare la linea del fronte per raggiungere gli alleati. La salma fu poi trasportata a Sulmona e accolta nell’Istituto delle suore della Dottrina Cristiana in via Probo Mariano, da cui presero le mosse i funerali celebrati con grande partecipazione proprio il 23 novembre, ottavo anniversario della sua uccisione. Nel manifesto affisso dal Comune, il sindaco Tirone ne ricordò poi la figura di “giovane di purissimi ideali cristiani e patriottici, che fu e sarà sempre luminoso esempio e sicura guida per coloro che hanno sete di libertà e di giustizia”. La famiglia di Giorgio, in quel di Lonigo, lo ringrazierà poi per iscritto per tutto ciò che era stato fatto per il proprio congiunto. Poi l’oblìo, almeno in città.
   La ricerca sul web si è dimostrata ancora una volta determinante. Informazioni sparse qui e là hanno permesso di rintracciare due piccoli quanto rarissimi stampati, conservati nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza, pubblicati a distanza di tempo da familiari ed amici in occasione degli anniversari della morte, come pure un articolo scritto il 27 ottobre del 1945 dal suo più caro amico, Angelo Gemo, che ne sposerà poi la sorella Anna.
Giorgio nacque il 7 giugno del 1923 a Pieve di Cadore, da Giovanni e Maria Teresa Del Carlo, studente di Medicina all’Università di Padova, profondamente religioso e illuminato da sincera fede, molto attivo nella vita diocesana di Vicenza, dove frequentò il Liceo Pigafetta.
 Entrò profondamente in crisi quando il suo professore di storia e filosofia Mario Dal Pra, che aveva rivolto, all’indomani della caduta del fascismo, un accorato appello ai giovani all’impegno civile inteso come capacità critica di fronte a qualsiasi aspetto o posizione, fu dapprima tacciato come pericoloso propagandista e poi sostanzialmente scomunicato proprio da quella Chiesa a cui aveva dato tutto se stesso.
Così scrisse nel suo diario:
“La Chiesa custodisce la Parola di Dio ed ha, per divino mandato, anche il dovere di proporla e diffonderla: ma lo slancio della Parola, la ricerca della sua opportunità, il più rischioso esperimento sono affidati ad ogni cristiano, membro costruttore della chiesa di Dio. La Chiesa non è uno Stato Maggiore che dispone i piani di difesa o di attacco fino all’ultimo particolare, per cui nessun soldato possa muoversi senza un ordine scritto di movimento […]. Certe docilità supine e certe cieche obbedienze, espressioni del quieto vivere, sono forme di minorata personalità cristiana e di accidia del singolo. Non è quindi un ribelle il cristiano che, ascoltando il richiamo della propria responsabilità nella Chiesa, parla, agisce, soffre e testimonia secondo questa voce, espressione della sua Fede. […] Importa incominciare, mettersi in strada, dichiararci, impegnarci, comprometterci per la Chiesa! […] Il Popolo di Dio si riconoscerà dalla Carità; la Carità deve muovere ognuno ad agire per l’avvento della pace cristiana fra gli uomini”.
Nonostante il sostegno morale di figure come Dal Pra e Mazzolari, Giorgio Mainardi ripiombò nel dubbio dopo l’8 Settembre. Sempre dal suo diario:
“Signore, concedimi un “richiamo” verso cui io mi orienterò perché esso è sempre stato l’unico modo con cui mi hai parlato. Ho bisogno di un “richiamo”. Sono stanco. Più che stanco, sfiduciato. Non vedo. E quello che vedo non è richiamo sufficientemente forte ed impellente. Voglio trovare un senso alla vita. […] Rifugiarmi, non è onesto non è da uomo. Combattere, non ho spirito battagliero. Pensare: non so come vedere le cose. Fuggire, camminare, perdermi nell’umanità. Stancarmi per farmi male. Lontano, lontano, lontano. Oh, che sete di libertà, di anarchia […]. Ma “non so”, maledetto “non so”!”
Davanti alle sofferenze dell’umanità, per quel “muto bisogno di decenza” espresso da Primo Levi, trovò presto una risposta chiara a quel “non so!”. Tenuto d’occhio già tra i banchi del liceo per le sue idee antifasciste, dopo l’8 Settembre fu pedinato e ricercato, in ottobre si diede alla macchia, spinto dalla propria coscienza, aderendo al movimento di liberazione d’ispirazione cattolica “Volontari della Libertà” che si andava formando intorno alla figura di Torquato Fraccon, in seguito deportato in Germania con il figlio Franco ed entrambi deceduti a Mauthausen.
Da patriota scelse la missione più rischiosa, passare le linee per portare alcuni messaggi al comando alleato. Per questo preferì partire con la sua bicicletta senza salutare i genitori e le sorelle, senza abbracciarli per l’ultima volta, lasciando loro solo una lunga, bellissima lettera che “testimonia il tormento, il bisogno della sua anima a seguire la sua via”.
Il 10 novembre, passando per L’Aquila, giunse a Sulmona dove fu ospitato e nascosto dal vescovo Marcante, il quale così ebbe a scrivere di lui: “durante il suo soggiorno fu una edificazione per noi e per le suore stesse con il suo contegno e la sua spiccata pietà”. La mattina del 22 novembre, prima di partire per attraversare le linee con altri due patrioti, fece la sua ultima comunione nella cappella del seminario. Il mattino del 23 fu scoperto dai tedeschi mentre stava per passare il fronte e ucciso da una raffica di mitra, Con sé, oltre ad alcuni libri tra cui il Vangelo, portò anche i suoi ferri chirurgici: “La mia è e deve essere un’azione umanitaria in linea generale”, così lasciò scritto. Per questo gli è stata riconosciuta la laurea Honoris Causa in Medicina e Chirurgia.
I suoi ultimi giorni furono raccontati dal suo più caro amico e futuro cognato, Angelo Gemo, il quale, tornato dalla prigionia nel 1945, ripartì alla ricerca di Giorgio, rifece il cammino da lui percorso, arrivò a Sulmona incontrando le persone che l’avevano conosciuto, ma qui subentra un piccolo mistero.
Secondo i famigliari, Giorgio Mainardi fu ucciso oltrepassato il Guado di Coccia sulla Maiella, forse tradito da un accompagnatore, tanto che Gemo salì a Palena, cercò e parlò con le donne che l’avevano raccolto, tornò a Roma e chiese al Presidente del Consiglio De Gasperi l’autorizzazione a esumare la salma. Tornato al cimitero di Palena con un mezzo di trasporto e una cassa di legno, trovò le donne incerte sulla posizione della salma nel terreno e il tentativo d’individuazione fallì.
Nel 1951 – invece – i poveri resti di Giorgio furono ritrovati, come narrano le cronache, sui monti di Castel di Sangro e da qui trasportati a Sulmona. Nel 1977 il padre Giovanni inviò al comune Altosangrino un ricordino del figlio con la sua fotografia da conservarsi in archivio, assicurando l’invio per il 23 novembre di un’offerta per una messa in suffragio. Sul ricordino è indicato come luogo di morte proprio Castel di Sangro.
Per volontà dei cittadini e dell’Amministrazione comunale di Sulmona, e con il consenso della famiglia, la salma di Giorgio Mainardi riposa da 72 anni nel cimitero locale, e precisamente nella chiesa della Pietà, loculo n° 105.
Di lui ci resta, oltre che il suo mirabile esempio, la sua ultima lettera ai famigliari, il suo testamento spirituale, di cui si riporta un breve passo.
“Parto, perché non posso non partire, non posso non obbedire
all’esigenza della mia coscienza, che chiama con insisten-
za, che urge, che mi sospinge.
Se diverse sono le esigenze vitali delle vostre anime,
se contrarie alle mie sono le leggi, e le vostre interpretazioni
a queste leggi della vita, purtroppo è duro, ma non so
cosa fare: è così e basta.
Ognuno di noi obbedisce ai suoi richiami, al suo
destino, alle sue intime esigenze.
Io non giudico le vostre.
Io, rispetto ed obbedisco alle mie.
mi sono impegnato io e non un altro.
unicamente io e non un altro:
voglio essere nella vita coerente, soprattutto e anzitutto!
senza giudicare, né accusare, né condannare chi
non lo è.
non voglio disimpegnarmi, perché altri non si
impegna, fossero questi anche il padre o la madre stessa.
So di non poter nulla su alcuno, né voglio
forzar la mano ad alcuno, devoto come sono e come
intendo rimanere al libero movimento di ogni
spirito.”
[Chi vorrà leggere integralmente il testo potrà farlo al seguente link:
http://www.ultimelettere.it/?page_id=35&ricerca=770   Se ne consiglia vivamente la lettura]
  A Vicenza gli sono state dedicate una strada e una scuola, il suo nome è inciso nella pietra del Liceo Pigafetta per onorare i propri alunni che si sono immolati per la Libertà. Nella nostra città, che ne accoglie le spoglie, nulla purtroppo lo ricorda.
                                                 ROBERTO CARROZZO

Bibliografia:
⦁    “In memoria di Giorgio Mainardi. Ricordo di un Patriota sulmonese”, in Il Messaggero [d’Abruzzo?], 22/11/1951
⦁    “In memoria di Giorgio Mainardi”, s.n.t. [1963], pp. 31 (commemorazione tenuta da un amico)
⦁    “Ricordo di Giorgio Mainardi”, Vicenza, Coop. Tip. Operai, s.a. [1983], pp. 44
⦁    Angelo Gemo, “Giorgio Mainardi”, in “Gioventù”, Roma, 27/10/1945

Sitografia:
http://www.ultimelettere.it/?page_id=35&ricerca=770  
http://tysm.org/essere-un-giovane-di-azione-cattolica-giorgio-mainardi-nel-1943/