Le sue condizioni non sono preoccupanti e non sembrano mostrare sintomi evidenti anche se essere costretti agli "arresti domiciliari" non fa piacere a nessuno.
Figuriamoci se, come nel caso del poliziotto dirigente, si è fatto l'impossibile pur di non arrivarci.
Fatto sta che lavorare in carcere in queste terribili condizioni questo comporta.
Ciò non può non prevedere protocolli ad hoc, migliorati nell'organizzazione e nella predisposizione di automatismi in materia di emergenza soprattutto se sanitaria.
Invece ci si ritrova di fronte ad un sorta di "tiro al bersaglio" dal quale i poliziotti penitenziari soggiacenti non possono che predisporsi al meglio, seppur con un dispendio enorme di energia, pur di evitare di essere centrati.
Molti diranno che i poliziotti di Avezzano non sono gli unici a doversi, per questioni afferenti la propria professione, confrontare con il temibile morbo.
Che ci siano molti altri operatori, come nel caso dei sanitari ai quali va tutto il nostro sostegno, i quali il rischio lo corrono costantemente non può che essere condiviso.
Tuttavia quello che va considerato è che nel caso del carcere la variabile impazzita sta nel fatto che di fronte i poliziotti non si ritrovano semplici pazienti civili e collaboranti ma persone che hanno commesso crimini spesso di efferata ferocia.
Persone che di collaborazione non ne vogliono proprio sapere.
È stato il caso, quest'ultimo, vissuto proprio dal dirigente uillino il quale, nelle 16 ore continuative vissute a gestire il detenuto in ospedale, il suo lavoro lo ha dovuto affrontare confrontandosi con una persona riottosa ai principi umani.
Persona nei confronti della quale si è dovuti più volte agire, a quanto pare, compromettendo l'utilità dei dispositivi di protezione individuale.
No!...In un paese civile questo non può accadere!
Seppur ci si ritrovi in una nazione dove l'ipocrisia quando si parla di morti bianche regna sovrana non può resistere questo misfattismo.
Lo dico pensando ai colleghi di Avezzano i quali, distrutti nel loro ideale di servitori dello Stato, non sanno quanto ancora saranno capaci di resistere.
Come non dargli ragione?"
Mauro Nardella UIL PA polizia penitenziaria
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