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domenica 7 novembre 2021

QUANDO LA PASSIONE E IL RISPETTO PER I CADUTI IN GUERRA SI TRADUCONO IN EMOZIONE. COMMOVENTE LA MANIFESTAZIONE AL SACELLO MILITARE A BADIA DI SULMONA

SULMONA - Si è svolta questa mattina, 7 novembre, la consueta Cerimonia commemorativa in suffragio dei caduti di tutte le guerre e su tutti i fronti presso il Sacello Militare di Santa Maria degli Angeli a Badia di Sulmona.A promuovere l’annuale iniziativa è Donato Agostinelli, ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, Delegato Provinciale di L’Aquila dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore Alle Reali Tombe del Pantheon, che da dieci anni custodisce con grande impegno e dedizione il Sacello militare. La Cerimonia è stata preceduta dalla Santa Messa officiata nella Chiesa della Santa Famiglia in Badia da Don Giacomo TARULLO il quale, nella sua omelia, ha sottolineato che essere cristiani significa essere dei buoni cittadini ed, interrogandosi sul significato del 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, giunge alla conclusione che questa debba essere una festa di pace, valore che ognuno è tenuto a donare agli altri.


Al termine della santa messa, si è mosso il corteo, con una nutrita partecipazione di popolazione, preceduto dalle autorità, alla volta del vicino sacello militare, sito nella Chiesetta di Santa Maria degli Angeli, lungo la strada che conduce a una delle più importanti aree archeologiche d’Abruzzo con il Santuario di Ercole Curino e, arroccato sulle pendici della montagna, il suggestivo Eremo di Celestino V.Dinanzi al sacello si è svolta la cerimonia commemorativa in suffragio dei caduti con l’alzabandiera sulle note dell’Inno Nazionale e gli onori ai caduti, con la deposizione di una corona di alloro sull’altare del Sacello.

Agostinelli, nel suo discorso, ha ricordato il centenario della tumulazione del milite ignoto nell’Altare della Patria, ripercorrendone la storia, nel 1921, quando l’allora Ministero della guerra dette l’incarico ad un’apposita commissione di esplorare tutti i luoghi nei quali si era combattuto e di scegliere una salma ignota e non identificabile per ognuna delle zone del fronte.  Undici salme, delle quali una sola sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, furono trasportate nella Basilica di Aquileia. Qui venne operata la scelta tra undici bare identiche. A guidare la sorte fu chiamata una popolana di Trieste, Maria Bergamas, il cui figlio Antonio – disertore dell'esercito austriaco e volontario nelle fila italiane – era caduto in combattimento senza che il suo corpo potesse essere identificato. Maria venne chiamata “la madre d’Italia” mentre lei avrebbe voluto essere semplicemente la madre del proprio figlio vivo. Il feretro prescelto fu trasferito a Roma su ferrovia, con un convoglio speciale a velocità ridotta, ricevendo gli onori delle folle presso ciascuna stazione e lungo gran parte del tracciato. Fu un viaggio che cento anni fa unì l’Italia,  perché ogni famiglia italiana aveva avuto un morto in guerra e lungo i binari delle ferrovie a rendere omaggio alla salma, madri, mogli, fidanzate, sorelle che avevano perso i loro cari caduti in guerra, piangevano prostrate al passaggio della salma. Il milite ignoto, aggiunge Agostinelli, divenne il simbolo del dolore di tutti gli italiani a causa della guerra che per sua stessa natura è assurda, infatti, sottolinea, in guerra non vince nessuno, anche se c’è una sola morte essa è un fallimento, perché non è possibile gestire le vite degli altri, gli altri non ci appartengono, nemmeno i nostri figli, che sono del mondo. Ed è ai figli che bisogna insegnare il valore della parola “pace”, dando per primi il nostro esempio. E a tal proposito sottolinea che i ragazzi sono come delle spugne che assorbono il bene e i male di quello che viene loro trasmesso. La memoria del sacrificio di tante giovani generazioni, dunque, che hanno combattuto per darci oggi la libertà, deve promuovere una riflessione per prevenire oggi i conflitti tra le genti, perché non si ripetano più tali orrori.
E in tale ottica, aggiunge, bisogna dare il giusto significato alla bandiera nazionale, sottolineando come essa debba essere il faro, la stella polare che guida la vita di ciascuno, in quanto la bandiera è il simbolo dei valori di Giustizia, Uguaglianza, Fratellanza e Libertà, valori universali senza i quali non può esserci una vita dignitosa, una bandiera nel nome della quale tanti giovani hanno perso la vita. E per questo è un dovere onorare la loro memoria che deve rimanere viva nel nostro cuore.
Al termine del suo discorso, Agostinelli ha ringraziato sentitamente la popolazione locale e le associazioni di volontari delle frazioni per il supporto a lui dato nella cura del sacello e per aver compreso il vero senso del sacrificio dei soldati caduti, elogiandone il senso di solidarietà e di unione.  
Ringrazia, inoltre, Franco Andrea CASCIANI, Vicesindaco del Comune di Sulmona in rappresentanza del Sindaco Dott. Gianfranco DI PIERO;  il Tenente Colonnello Maurizio MADDALENA in rappresentanza del  Colonnello Marco IOVINELLI Comandante del Comando Militare Esercito “Abruzzo Molise”; l’Ingegnere Claudio Mastrogiuseppe, Dirigente Superiore dei Vigili del Fuoco Dirigente - Area V Direzione Centrale Prevenzione e Sicurezza Tecnica Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Soccorso Pubblico e Difesa Civile; il Luogotenente C.S. Tito LEONE della Guardia di Finanza di Sulmona in rappresentanza del Comando Compagnia della Guardia di Finanza di Sulmona; il Maresciallo Maggiore Luigi LUCENTE Comandante della Stazione Carabinieri di Sulmona in rappresentanza della Compagnia Carabinieri di Sulmona; il Generale Emidio D’ANGELO già Presidente dell’UNUCI di Sulmona (Unione Nazionale Ufficiali in congedo d'Italia); la Rappresentanza della Delegazione di L’Aquila dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore Alle Reali Tombe del Pantheon; la Rappresentanza dell’Associazione Nazionale Bersaglieri di Sulmona; Don Giacomo TARULLO che celebrato la Santa Messa e Tonino LATTANZIO, del defunto M.A.S.UPS CC. Franco LATTANZIO caduto il 27 aprile 2006 a Nassiriya a seguito di un tragico attentato dinamitardo .
E’ stata una cerimonia sobria e sentita, organizzata con la consueta dedizione dal Capitano Agostinelli che, nei suoi dieci anni di attività come custode del sacello, ha aperto il sito, divenuto ormai luogo della memoria, alle scolaresche, collegando tale esperienza alla promozione nelle scuole di percorsi di educazione alla cittadinanza democratica e ai diritti umani, per diffondere un messaggio di pace, legalità, libertà, fratellanza e giustizia sociale, valori umani fondamentali della persona e dei popoli.
LA CHIESA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI A BADIA DI SULMONA. La chiesetta sorge alle falde del Monte Morrone, in un luogo carico di straordinarie memorie storiche e di profonda spiritualità: a pochi passi, a valle, sorgono l’Abbazia di Santo Spirito al Morrone e il Campo di prigionia denominato 78 che ha ospitato prigionieri durante la prima e la seconda guerra mondiale e, a monte, una delle più importanti aree archeologiche d’Abruzzo con il Santuario di Ercole Curino e, arroccato sulle pendici della montagna, il suggestivo Eremo di Celestino V.
Dante Patana, presidente della Sezione Combattenti dei Bersaglieri della Badia e Guardia d’Onore del Pantheon, per primo, nel 1928, esternò la volontà di restaurare un’antica chiesetta che qui sorgeva, la cui originaria costruzione, che risalirebbe al 1294, pare sia stata voluta da Celestino V. In seguito alla morte dell’Alpino Filippo Freda, caduto al fronte il 27 febbraio 1936, iniziarono i lavori di ricostruzione della chiesa ormai diruta grazie al Professor Del Basso Orsini, coadiuvato dai componenti della Sezione Combattenti, da altri benefattori e dalla popolazione locale che partecipò con grande sacrificio, donando quel poco che aveva in termini economici e mettendo a disposizione la propria manovalanza quando non aveva niente altro da offrire. I fondi furono raccolti anche presso la popolazione dei centri limitrofi, Sulmona, Pacentro, Campo di Giove, Roccaraso, Castel di Sangro, fino ad arrivare ad Avezzano, Celano, Pescina, perché l’edificio prevedeva un costo di 4.500 lire, cifra notevole per quel tempo. Anche gli alpini originari della Badia, che al tempo combattevano in Africa, hanno contribuito al restauro inviando le poche lire che guadagnavano con l’amara consapevolezza che questa chiesa, un domani, sarebbe stata il luogo della memoria del loro sacrificio.





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