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mercoledì 13 febbraio 2019

SABATO A SULMONA L’AVARO DI CHITI CON UNO STRAORDINARIO BENVENUTI

SULMONA - Tutto pronto al Teatro Maria Caniglia di Sulmona per il prossimo appuntamento della Stagione di Prosa 2018/19 nata dalla collaborazione tra ACS Abruzzo e Molise Circuito Spettacolo e l’Amministrazione Comunale,  sabato 16 febbraio alle ore 21 con “L’Avaro” un classico di Molière adattato e diretto da Ugo Chiti e prodotto dalla compagnia Arca Azzurra Teatro.In scena un grande Alessandro Benvenuti nei panni di un Arpagone complesso e sfaccettato, accompagnato in scena da Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Paolo Ciotti, Gabriele Giaffreda, Elisa Proietti.L’Avaro è uno spaccato familiare e sociale. Arpagone è un capofamiglia balordo, taccagno e tirannico come tanti altri, circondato da un amabile e canagliesco intrigo di servi e di innamorati.
Poi Arpagone viene derubato e l’avarizia cessa di essere un tic, una deformità, uno spunto di situazioni farsesche. La diagnosi investe la psicologia di chi ha subíto un furto, di chi è stato defraudato di un oggetto di passione affettiva ed esclusiva, della sua unica ragione di vita. Proprio la fissazione affettiva di Arpagone su un oggetto miserabile sollecita un’equivoca, ma profonda partecipazione emotiva: l’avarizia redime l’avaro.L’avaro molieriano, amaro e irresistibilmente comico, è un’opera di bruciante modernità, riesce a
essere un classico e nello stesso tempo a raccontare il presente senza bisogno di trasposizioni o
forzate interpretazioni. Chiti innesta le vicende dei grandi classici nel linguaggio, forte, crudo, e a
volte comicissimo che gli è proprio e che diventa tutt’uno con le sue regie, scavando al fondo delle
psicologie dei personaggi.
“L’Arpagone del  regista  è  l’incontrastato  padrone  della  scena. Un personaggio   sfaccettato  e
approfondito, dotato di chiaroscuri psicologici moderni, che offrono molti spunti interpretativi ad
Alessandro Benvenuti attore e mattatore. La riscrittura di Chiti è stata fatta su misura per l’attore
e il suo Arpagone è allo stesso tempo comico e tragico come la tradizione suggerisce, ma a volte
anche   ironico   e   autoironico,   spesso   aggressivo   e   quasi   malvagio   nella   sua   incapacità   di
immedesimarsi negli altri e capire le loro esigenze…La riscrittura di Chiti si basa anche su altri
essenziali aspetti drammaturgici: se da un lato si torna alla classica Commedia dell’Arte, con
maschere e servi, dall’altro lato la trama è stata “asciugata” dai  cinque atti originari ai due di
questa messinscena, nonché resa abbastanza più rapida in alcuni passaggi come la definizione
dello stratagemma per ingannare Arpagone e il finale che riporta a lui mattatore della situazione.
Un assolo delirante dove il personaggio entra in crisi per la sua avarizia e dove l’interprete offre
al pubblico un vero pezzo di bravura, dove si vede l’istrione Benvenuti emergere.”Visum.it
“Su questa commedia, che la tradizione considera ora una farsa e ora l’ultimo gradino comico
prima della tragedia, Chiti lavora di scalpello. Semplifica il linguaggio verso un’espressività molto
diretta, imbastisce un prologo che non si trova in Molière, accentua l’avversione, quasi l’odio, dei
figli verso un padre tanto avaro da distruggere ogni loro attesa di libertà e d’amore, aggiunge un
finale su cui lo spettatore è obbligato a meditare. Arpagone, il cupo e paranoico Arpagone, ha
recuperato la famosa cassetta con tutto il proprio denaro e di quelle monete si riempie le tasche al
punto da stramazzare al suolo e non potersi più rialzare. Il peso del denaro lo ha paralizzato, forse
annientato,   anche   se   lui,   inguaribile,   trova   la   forza   di   mormorare:   «Stiamo   bene   insieme»”
Osvaldo Guerrieri - La Stampa

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