La sua visione politica divenne sempre più radicale e presto giunse a identificarsi come anarchica. Si licenziò quindi dalla redazione del Proletario e si dedicò alla pubblicazione di un proprio giornale, La Plebe. Più tardi trasferì la sede della Plebe a Pittsburgh e si prodigò per la diffusione delle idee anarchiche presso i minatori e i lavoratori dei mulini della Pennsylvania. Si associò all'Industrial Workers of the World nel 1912, quando venne invitato da questa unione sindacale a Lawrence (Massachusetts) per aiutarli a mobilitare i lavoratori italiani durante una campagna per la liberazione dei leader dello sciopero Joseph Ettor e Arturo Giovannitti, che erano stati incarcerati con false accuse di omicidio. Dopo il successo dello sciopero di Lawrence, fu attivo in molti altri scioperi in tutti gli Stati Uniti come lo sciopero dei lavoratori tessili a Little Falls, New York (1912), lo sciopero dei lavoratori degli alberghi di New York (1913), il grande Sciopero della seta di Paterson (1913), e lo sciopero dei minatori di Mesabi Range, Minnesota (1916).
Divenne quindi una figura importante tra gli italoamericani nel suo tentativo di fermare i tentativi da parte di Benito Mussolini di organizzare gli immigrati italiani in gruppi di appoggio al Fascismo. A quel tempo, Tresca dirigeva un giornale antifascista, Il Martello, stampato alla de Pamphilis Press di New York, in cui insieme ad altri giovani giornalisti antifascisti come Vincent Massari, bollava Mussolini come un nemico di classe e traditore (questa accusa faceva riferimento alle origini sindacali del movimento fascista). Egli faceva parte del comitato di difesa di Sacco e Vanzetti, accusati di omicidio, e interveniva spesso in loro difesa attraverso comizi ed articoli.
Durante gli anni trenta, Tresca divenne un esplicito oppositore del comunismo sovietico e dello stalinismo, in particolare dopo che l'Unione Sovietica aveva progettato la distruzione del movimento anarchico in Catalogna e in Aragona durante la Rivoluzione spagnola. In precedenza, Tresca aveva appoggiato i bolscevichi, dal momento che uno stato comunista sarebbe stato preferibile ad uno Stato capitalista.
All'inizio del 1938 accusò pubblicamente i sovietici del rapimento di Juliet Poyntz per prevenire la sua defezione dall'apparato segreto del Partito Comunista statunitense. Tresca rivelò che, prima che sparisse, la Poyntz gli aveva parlato del suo disgusto per il Terrore instaurato da Stalin.
Nel 1941 confidò a Max Eastman che Nicola Sacco era colpevole del crimine di cui era stato accusato, mentre Bartolomeo Vanzetti era innocente.[1]
A New York, Tresca iniziò anche una campagna pubblica di opposizione alla mafia nel suo settimanale Il Martello. Tresca era consapevole del rischio che correva per la propria vita. In conclusione di un articolo pubblicato poco prima della sua morte, Tresca dichiarò: «Morris Ernst, il mio avvocato, sa tutto. Sa che se un antifascista viene aggredito o ucciso, l'istigatore è Genrose Pope» (questa era evidentemente un'accusa a Generoso Pope, un potente uomo politico di New York, di origine italiana, apertamente filofascista e con contatti con il boss Frank Costello, che già controllava i periodici italo-americani Il Corriere d'America e Il Progresso Italo-Americano).
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