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giovedì 15 dicembre 2022

"IN RICORDO DI COSIMO SAVASTANO"

a destra Savastano

 Da sinistra: Ottaviano Giannangeli e Cosimo Savastano. CASTEL DI SANGRO - "Parlando della sua carissima amica ed editrice Elvira Sellerio, Andrea Camilleri affermava: «Elvira ha saputo magistralmente esercitare la difficile arte dell’amicizia siciliana. Un’arte ormai estinta, come quella dei maestri d’ascia, dei carrettieri o dei pupari, oppure trasformata in complicità e in consorteria. Un’amicizia che è assai di più di un amore fraterno. [...] Dell’amico si ereditano gli affetti e le amicizie che diventano cosa completamente tua». Non so se questo tipo di amicizia sia esclusivamente siciliana; di certo anche in Abruzzo ce ne sono degli esempi.
     Lo stesso è capitato a me dopo la scomparsa dell’amico più caro, il Professor Ottaviano Giannangeli, dal quale ho ereditato diversi affetti che mi hanno permesso di proseguire insieme il cammino già intrapreso con lui, cominciando così un nuovo percorso che pure si muove sul solco della più antica amicizia.

Una delle migliori eredità è stata il rapporto, divenuto col tempo fraterno, con Cosimo Savastano, poeta e storico dell’arte (non amava affatto il titolo di “critico” che può voler dir tutto e niente, permettendo così a molti cialtroni di improvvisarsi “critici d’arte”) di Castel di Sangro, scomparso il 7 dicembre scorso.
     Per l’amicizia tra Giannangeli e Savastano rimando alle bellissime pagine che quest’ultimo scrisse nella prima pubblicazione in cui lo coinvolsi, “Un gettone di memoria. 23 voci per Ottaviano Giannangeli” (Ortona, Edizioni Menabò, 2019), per cui redasse un importante capitolo intitolato “Giannangeli e la Sulmona degli anni Cinquanta”, in cui non solo si trova descritta la scoperta che un giovanissimo studente liceale faceva dell’opera e della figura di un docente che si andava affermando come poeta, ma di una Sulmona in cui convergevano le migliori intelligenze peligne e abruzzesi per favorire quel processo di sprovincializzazione che oggi sarebbe doveroso riprendere.
     Il rapporto tra me e Cosimo (dovette insistere non poco - lui che per la sua modestia a volte eccessiva aveva sempre avuto difficoltà, soprattutto con persone di cui riconosceva l’autorevolezza, a dare del “Tu” a qualcuno - perché io mi sentissi di mettere da parte il “Lei”) si è svolto principalmente per telefono: ore e ore (soprattutto serali e notturne) di meravigliosa conversazione, nel corso delle quali, anche se non era necessario, lo “provocavo” perché mi raccontasse dei suoi trascorsi di vita, della sua infanzia che aveva sofferto la guerra e della sua giovinezza che aveva lottato per uscirne dalle rovine, delle avventurose vicende dei suoi avi, delle frequentazioni coi grandi della cultura italiana ed internazionale; tutto era raccontato con una dolcezza e una profondità di pensiero che mi lasciavano tramortito, con una schiacciante umiltà di cui sento ancora il peso.
     Quando lo scorso 5 gennaio, per il suo ottantatreesimo compleanno, lo omaggiai con un saggio dedicato al quarantesimo anniversario della sua raccolta poetica “Nu parlà’ zettenne”, vero gioiello della letteratura abruzzese, ne fu immensamente contento (lui che non aveva mai esortato nessuno per avere prefazioni, recensioni, saggi, etc.) ed altrettanto lo fu quando scoprì che “il 996”, rivista del Centro Studi “G. G. Belli”, diretta dal Prof. Marcello Teodonio (grande ammiratore del poeta di Castel di Sangro), voleva non solo pubblicare il mio scritto ma che io realizzassi un’antologia delle poesie savastaniane e che lo intervistassi. Cominciò allora per me e Cosimo un grandissimo lavoro: approntai subito una nutrita scelta dei suoi versi di cui lui rivide personalmente la traduzione (quella fatta all’epoca della pubblicazione del libro non lo soddisfaceva pienamente) e realizzai una serie di domande per l’intervista in cui sapevo bene dove andare a “colpire”, conoscendo le sue esperienze di vita e di lavoro, i suoi incontri e i suoi riferimenti culturali, la natura del suo spirito e la forza delle sue idee (grazie alla quale riuscì ad imporre l’opera artistica di Teofilo Patini, vincendo i pregiudizi della critica accademica). Ad aiutare ancora una volta Cosimo, come sempre nella vita e nel lavoro, la sua amata Serafina, compagna, amica, consigliera, complice, anche lei entrata prepotentemente nel mio cuore.
     Fu un periodo di grande attività a cui seguì quello per la ricerca di un finanziamento per la pubblicazione dell’estratto della rivista (saggio, antologia, intervista) così da farne un libretto che onorasse Cosimo. Il finanziamento sembra sia stato stanziato e mi auguro che presto si riesca ad andare in stampa per celebrare colui che si è battuto fortemente, nonostante il già difficile stato di salute, per questo progetto.
     Altro impegno a lui caro, in cui lo coinvolsi sin dall’inizio e che mi spronò continuamente a portare a termine, quello della pubblicazione delle oltre quattrocento lettere di Vittorio Clemente (nume della poesia abruzzese nonché suo Maestro) a Giannangeli, da me pazientemente trascritte e “commentate”. Fece in tempo a sfogliare l’imponente dattiloscritto dell’opera e ad apprezzarlo, sempre assicurandomi dell’aiuto che mi avrebbe dato per farlo pubblicare. Con la sua scomparsa purtroppo l’aiuto viene meno ma non la mia volontà di darlo alle stampe per fare qualcosa che lui aveva particolarmente a cuore: chiarire una buona volta la storia della poesia abruzzese, proprio ricostruendo il dialogo tra questi due protagonisti della nostra vita culturale.
     Con Cosimo Savastano ci lascia non soltanto uno studioso sensibile e indefesso, un poeta di spessore e di forte originalità ma soprattutto un galantuomo che ha fatto della generosità verso il prossimo e dell’onestà del proprio intelletto i principi di una vita".
Andrea Giampietro


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