Contrariamente a quel “vento” che “spalia”
e fa disperdere gli amici, come nei versi di Vittorio Monaco (1941-2009), citati tra le pagine di “Tra cielo e terra”, il
libro a più mani che da conto della poliedrica figura, della forte personalità
e dell’opera poetica dell’intellettuale e studioso (docente prima e preside poi
negli istituti superiori sulmonesi, politico, sindaco di Pettorano, suo paese
natìo, consigliere comunale a Sulmona, amministratore di enti territoriali), lo scorso sabato sera gli Amice de na vota c’erano tutti. Erano
davvero in tanti nell’auditorium dell’Annunziata
a Sulmona, al convegno di
presentazione del volume sottotitolato “Discorrendo di Vittorio Monaco”, curato
dal Centro studi a lui intitolato che, con l’occasione, ha tenuto a battesimo
la propria attività. “Il colpo d’occhio della sala basterebbe a dire che
Vittorio ha lasciato una traccia importante” hanno affermato dal palco i
relatori nei loro interventi, intervallati dalla lettura delle poesie, eseguita da Nicolina D'Orazio, come “Fonte della fascia”, “Paese mia
conchiglia”, comprese quelle più significative in dialetto pettoranese
“Fiocca”, “Amice, amice mia”, “Vécule” e un sonetto in romanesco “Roba de
ortaggi”. Folta la platea: amministratori, ex sindaci, l’onorevole Giovanni
Lolli e il vicepresidente del Consiglio regionale Giovanni D’Amico, semplici
cittadini, ex alunni, compagni. Non
solo quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo bene, ma erano presenti anche
coloro che lo hanno incontrato solo poche volte nella vita, magari uscendo da una
conversazione come un pugile suonato, come ricorda Raffele Garofalo tra le pagine incentrate sul rapporto con la
religione, ma se erano lì, sabato, qualcosa gli dovevano. Un insegnamento, uno
stimolo in più per riflettere. Per qualcuno interlocutore stimolante, per altri
maestro di vita, punto di riferimento culturale. “Comunicare per Vittorio era un
fatto fisiologico” scrive Garofalo “Una valanga di parole, concetti,
provocazioni intellettuali, simpatiche prese in giro dalle quali difficilmente
ci si salvava e che non risparmiava nemmeno a se stesso”.
Ad alzare il sipario sull’ incontro Giuseppe Evangelista, presidente del
Centro studi, il quale nel testo, come anche Antonio
Carrara, Bruno Di Bartolo e Mimì D'Aurora, ha dato rilievo alle vicende politiche
di Vittorio Monaco a palazzo San Francesco dal 1988 al 1993, dopo
l’esperienza da sindaco e vice a Pettorano, spinto dal “desiderio di uno spazio
politico-culturale più ampio, di confrontarsi con tematiche diverse. Non che
gli anni di Pettorano fossero stati di routine. Tutt’altro.” Eide Spedicato, docente di Sociologia
dell’Università di Chieti, parlando del testo come composito e non agiografico, da cui
emerge affettività diffusa poggiando su forti elementi, ha sottolineato la
differenza tra coloro che scrivono la propria storia sull’acqua e chi, invece,
incide sulla pietra, lasciando quindi importanti tracce. Contro quella “bulimia
da vacuità” che tanto indispettiva Monaco.
“Una lettura interessante non solo per chi certi periodi li ha vissuti,
ma anche per chi è venuto dopo” ha affermato PierUgo Foscolo, preside della
Facoltà di Ingegneria dell’Aquila, soffermandosi sull’importanza del territorio
per Vittorio monaco, dell’andare oltre gli aspetti formali. Conclusioni,
infine, affidate a Marcello Teodonio,
docente di Letteratura italiana all’Università Tor Vergata
“Sulle tracce di Vittorio Monaco” Nicola Auciello, in ouverture del
volume, mentre la problematica della poetica è affidata a Marco Del Prete. L' impegno culturale e le passioni di una vita vengono sottolineati da Concettina Falcone e Marcello Bonitatibus. Un
libero insieme di prospettive che affondano le mani nel bagaglio misto di cultura e
ricordi di ogni autore, ripercorrendo la vicenda umana e letteraria dello studioso, le sue passioni
civili, la sua attività di ricercatore, divulgatore della cultura e delle
tradizioni popolari, come un “viaggio
nel tempo, indietro fin dove sono nati i riti, fino a lambire quello spazio
eterno tra il cielo e la terra dove essi continuano a vivere”. Dove tutto comincia, dal Capetiempe, che segna la fine e
l'inizio dei cicli annuali dell'agricoltura, come riferisce Antonio Di Fonso nel
saggio, spiegando come Vittorio Monaco cercasse la chiave per aprire lo scrigno
in cui era custodita l’anima e l’essenza della comunità dell’Abruzzo contadino,
in quanto è nel mos maiorum il punto di partenza di una civiltà. “La presenza
di così tante persone in sala” ha commentato Di Fonso “ribadisce ulteriormente
il fatto che Vittorio è ancora nel cuore di tanti” . G.S.