L'AQUILA - "Il recente Rapporto Montagne Italia 2025, curato da UNCEM, offre un’analisi puntuale e drammatica dello stato delle aree montane e interne italiane, restituendo un’immagine che interpella profondamente la politica e l’intero Paese. In oltre 800 pagine di dati e riflessioni emerge con chiarezza che le aree montane non sono territori marginali, ma snodi vitali del sistema Italia, nei quali si giocano sfide ambientali, sociali, demografiche ed economiche centrali per il futuro collettivo.L’Abruzzo, come altre regioni dell’Appennino, evidenzia elementi di fragilità – spopolamento, PIL pro capite più basso della media nazionale, carenza di servizi – ma anche segnali incoraggianti, come un saldo migratorio positivo (+0,37% nel periodo 2019-2023, segno che lo spopolamento va contrastato anche con politiche di integrazione serie e reali), una maggiore vitalità del tessuto artigiano e cooperativo, una significativa presenza turistica e una resilienza agricola che contribuisce in modo rilevante al valore aggiunto locale.
Tutto questo, però, rischia di restare potenziale inespresso di fronte a un contesto normativo e istituzionale che, anziché investire su questi territori, li sta abbandonando. Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI) 2021–2027, approvato lo scorso aprile, non solo non interviene come dovrebbe sulle cause strutturali della marginalizzazione, ma ne cristallizza gli effetti, suddividendo le aree in categorie e prevedendo, per alcune, una sorta di accompagnamento al declino irreversibile. È una dichiarazione di resa che respingiamo con forza. Nessun territorio può essere considerato definitivamente perso da un Paese che vuole dirsi unito.
Alla gravità dell’impianto strategico si aggiungono scelte che ne smentiscono ogni credibilità. Pochi giorni dopo l’approvazione del PSNAI, il Governo ha tagliato 1,7 miliardi di euro alla manutenzione della rete stradale, indispensabile per i collegamenti e la sopravvivenza quotidiana delle aree interne, per dirottare quelle risorse verso il finanziamento del Ponte sullo Stretto. Si tratta di un paradosso infrastrutturale e politico che grida vendetta.
Ma c’è un problema ancora più profondo: l’abbandono istituzionale dei Comuni. La capacità progettuale e amministrativa degli enti locali è stata demolita da anni di tagli, blocco del turn-over e limiti alle assunzioni. In moltissimi Comuni montani oggi manca il personale tecnico e amministrativo per scrivere un bando, rendicontare un intervento, gestire una gara, con il risultato che le risorse stanziate restano inutilizzate. I dati di Openpolis lo dimostrano con chiarezza: solo il 17% dei progetti finanziati nelle aree interne tra il 2014 e il 2025 è stato concluso, il 4% è stato liquidato, il 58% è ancora in corso e il 20% non è mai partito. Di fronte a questi numeri, suonano come un insulto le parole del Governo che accusa i Comuni di non saper spendere le risorse.
Chi abita nei Comuni montani oggi lo fa spesso per scelta di vita, ma anche per necessità. Tra coloro che decidono di trasferirsi o tornare nei piccoli centri ci sono molte persone anziane, pensionate, che trovano in questi luoghi un costo della vita più sostenibile e un ambiente più vivibile. Per questo è fondamentale garantire servizi sanitari di base, presidi territoriali, punti di assistenza e una rete di protezione sociale adeguata. Senza sanità di prossimità, la permanenza di queste fasce di popolazione diventa impossibile.
Anche l’agricoltura può e deve giocare un ruolo centrale. In un contesto globale in cui il modello agroindustriale e l’export massivo mostrano tutte le loro fragilità, la filiera agricola di montagna, basata su sostenibilità, qualità e presidio del territorio, rappresenta una risposta concreta, in grado di generare occupazione e valore servono quindi incentivi, accesso alla terra, credito agevolato e semplificazione burocratica.
In parallelo, la diffusione del lavoro da remoto e del cosiddetto “south working” potrebbe rappresentare un’opportunità per ripopolare i territori e renderli più dinamici: Senza investimenti sulla connettività e sulle infrastrutture digitali ogni discorso in merito resta una promessa vuota. Garantire banda larga di qualità anche nei territori più remoti non è un lusso, è una condizione essenziale per trattenere giovani, famiglie, lavoratori autonomi e professionisti.
Noi crediamo che le aree interne e montane possano essere un motore di sviluppo sostenibile, non un peso da accompagnare al tramonto. Non accettiamo la narrazione dei “borghi cartolina” né quella dei “vuoti a perdere”. Proponiamo invece un cambio di paradigma fondato su diritti, coesione territoriale e giustizia ambientale. Le nostre priorità sono chiare: fiscalità di vantaggio per chi acquista e ristruttura immobili nei comuni montani; tariffe agevolate per energia e servizi essenziali; incentivi dalla fiscalità generale a territori spesso interessati dalla presenza di aree potette, la cui tutela garantisce servizi ecosistemici che producono benefici per tutto il Paese; politiche di neopopolamento attivo, investimenti nelle infrastrutture sociali – scuole, sanità, asili, mobilità – e un piano straordinario per il rafforzamento amministrativo dei Comuni delle aree interne, con personale tecnico e risorse adeguate.
Senza diritti di cittadinanza garantiti, non c’è sviluppo possibile e senza infrastrutture materiali e digitali, parlare di rilancio è pura retorica. Le aree interne non sono un problema locale o meridionale, sono lo specchio dell’ingiustizia territoriale italiana pertanto investire su di esse significa contrastare la crisi climatica, ridurre la pressione delle città, valorizzare economie locali e garantire equità tra cittadini, qualunque sia il loro codice di avviamento postale.
L’abbandono non è una fatalità; lo spopolamento non è inevitabile: servono scelte politiche coraggiose, lungimiranti, complesse così come lo sono le realtà che si devono affrontare".
Fabrizio Giustizieri – Segretario Provinciale Sinistra Italiana L’Aquila - AVS
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