SULMONA - "Se il centro migranti della Casa Santa dell'Annunziata chiude, dove saranno ospitati i richiedenti asilo che, dal 2014 ad oggi, sono stati accolti nell'immobile?" La domanda sorge spontanea, ma solo per il coordinatore di Italica Alberto Di Giandomenico che torna ad affrontare l'argomento.La prima riflessione interessa la decisione dell'Azienda pubblica per i servizi alla persona (Asp2 ex Ipab - Istituto pubblico di assistenza e beneficenza) di chiudere per lo stato dell'edificio in cui i richiedenti asilo vivono da tempo e che le recenti verifiche di sicurezza (Slu e Sle - Stati limiti ultimi ed esercizio) segnalano sfavorevole rispetto alla sicurezza strutturale. Di Giandomenico ricorda che il centro migranti dell'Annunziata è stato chiuso, aprile 2016, dai carabinieri del Nucleo anti sofisticazioni (Nas) di Pescara e non solo per il sovraffollamento e i problemi igienico-sanitari, ma per carenze strutturali nell'immobile riaperto però appena 2 mesi dal bliz dei Nas. Lo stabile dunque non sarebbe mai stato adeguato alle prescrizioni della Asl e del Comune come invece dichiarato dall'ex presidente dell’Ipab Casa Santa, Dario Recubini. "Il sindaco di Sulmona, Annamaria Casini, insisterà ancora ad elogiare la fallimentare esperienza di accoglienza imposta alla comunità - domanda Di Giandomenico - Come la mettiamo con i costi del trasloco, con lo Sprar (Servizio centrale di protezione dei richiedenti asilo) di cui il primo cittadino sulmonese si è fatto capofila da tempo per l'intero comprensorio. Ospiteremo anche i prossimi migranti nei tuguri del centro storico e poi pagheremo per altre verifiche tecniche e per i traslochi mentre gli ospiti faranno passeggiate rilassanti lungo corso Ovidio e in bici? - aggiunge il leader del movimento d'Identità e territorio - Dove sono finiti poi i migranti ai quali è stato rifiutato l'asilo, sono ancora ospitati a Sulmona? Sarebbe giusto farci sapere che fine hanno fatto, quanti sono e, se sono ancora ospitati, a spese di chi vivono?". Sulla pioggia di domande del coordinatore di Italica resterà ancora muta la risposta. "Pretendere trasparenza, secondo i principi dettati dalla legge italiana, è sacrosanto su un affare che muove a compassione solo chi ci guadagna, un business soprattutto per certe cooperative che si sono arricchite alle nostre spalle e sulla pelle e l'ingenuità della povera gente"
conclude Alberto Di Giandomenico.
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